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Sfide e contesti: la necessità di politiche pubbliche per i NEET

Scritto da La redazione di Skills | 03/09/24 11.20

È giunto il momento di cambiare la narrazione sui giovani italiani, un tempo definiti  “choosy” e “fannulloni”? Analizziamo la situazione attraverso la recente ricerca “LOST IN TRANSITION -  Motivazioni, significati ed esperienza dei giovani in condizione di NEET: un confronto tra aree metropolitane e aree interne.

L'indagine esplora in dettaglio la condizione e le sfide dei giovani italiani tra i 18 e i 29 anniI dati mostrano che circa il 75% dei giovani NEET (ossia coloro che non studiano né lavorano) ha svolto, nel mese precedente all’intervista, un lavoro in nero, con una percentuale che sale fino all’88,9% nelle aree urbane. Quindi, contrariamente alla narrativa dominante, molti dei giovani intervistati svolgono frequentemente “lavoretti”. Ad esempio, nelle aree metropolitane, il 27,2% si dedica ad attività come baby-sitting, cat-sitting o dog-sitting, mentre nelle aree interne prevalgono attività come cameriere, barista o hostess per eventi (27,3%). A differenza di quanto si potrebbe immaginare, questi lavori rappresentano un'attività rilevante che permette ai ragazzi di raggiungere una certa indipendenza economica: nelle aree metropolitane, il 53,4% degli intervistati lo conferma, mentre nelle aree interne la percentuale si dimezza al 28%.

Il report “Lost in Transition”, che ha coinvolto oltre 1.200 giovani tra i 18 e i 29 anni, analizza anche le differenze tra aree interne e metropolitane, indagando i motivi per cui ci si trova nella condizione di NEET, con particolare attenzione agli aspetti legati al lavoro e alla formazione. Circa il 30% del campione decide di non cercare lavoro per prendersi un anno sabbatico, una scelta consapevole. Altri, invece, decidono di non lavorare perché sostenuti economicamente dalla famiglia (20,5% dei casi, senza particolari differenze per area di residenza) o perché dispongono di risorse derivanti da rendite finanziarie o immobiliari. Va inoltre sottolineata la sfiducia e la disillusione verso il mercato del lavoro: il 17,4% del campione non cerca un’occupazione perché pensa di non trovarla, il 9,8% ritiene che gli stipendi siano troppo bassi, e l'8,1% è scoraggiato dalla precarietà dei contratti.

Un altro aspetto essenziale riguarda la formazione: la maggior parte dei NEET vorrebbe svolgere attività in linea con il proprio percorso di studi o, in alternativa, frequentare un corso per imparare un mestiere. Tuttavia, come per il lavoro, anche in questo caso i giovani NEET spesso decidono consapevolmente di prendersi un anno sabbatico (33%). Altri non intraprendono percorsi formativi perché disillusi riguardo alla possibilità di trovare un percorso adatto (21,4%) o perché non ritengono necessario formarsi ulteriormente (20,1%).

Il report esamina anche la questione delle responsabilità: perché alcuni giovani si trovano in questa condizione? La maggior parte del campione è divisa tra due estremi. Il 30,4% attribuisce la propria situazione a sé stesso, mentre il 45% ritiene che la responsabilità sia di un'offerta di lavoro poco congrua. Seguono il ruolo della famiglia (7,8%) e il luogo in cui si vive (16,7%).

In conclusione, questo interessante lavoro ci offre una visione dettagliata di una realtà ormai nota, ma ancora poco considerata dalle istituzioni e dal privato sociale. Un punto cruciale è poi quello della emersione dei cosiddetti "lavoretti". Occorre ripensare, e con ogni probabilità reintrodurre, strumenti fiscali semplici come i voucher, proprio a vantaggio di chi svolge queste piccole attività lavorative, per garantire copertura assicurativa dagli infortuni e un minimo di cumulo contributivo. Più in generale, è cruciale che le politiche pubbliche riconoscano le differenze territoriali e adottino approcci personalizzati per supportare efficacemente i NEET, accompagnandoli verso una formazione e un’occupazione di qualità.