In Italia, la parità di genere nel mondo del lavoro è ancora lontana dall’essere una realtà. L’Indice della Parità di Genere 2023 ha collocato l'Italia al 13° posto nell’Unione Europea, con un punteggio complessivo di 68,2 su 100. Rispetto al 2010, il Paese ha registrato un incremento di 14,9 punti, segnando il tasso di crescita più alto tra tutti gli Stati membri. Tuttavia, l'Indice evidenzia criticità significative nel settore del lavoro, dove l'Italia continua a occupare l'ultima posizione nell’UE (27° posto) sin dal 2010.
Secondo il Rapporto ASviS 2024, il nostro Paese si colloca all’87° posto su 146 nazioni per parità di genere, un dato in peggioramento rispetto all'anno precedente. Il tasso di occupazione femminile, fermo al 54,5%, è nettamente inferiore a quello maschile (71,1%). Questo divario rappresenta non soltanto un problema sociale, ma soprattutto un freno significativo alla crescita economica.
Numerosi studi dimostrano che le aziende che adottano un'organizzazione equilibrata tra uomini e donne e che promuovono l'inclusione e la diversità di genere registrano migliori risultati in termini di produttività, innovazione e competitività. La Commissione Europea e le Nazioni Unite sottolineano come le imprese con una leadership più equilibrata siano più resilienti alle crisi e più capaci di attrarre talenti qualificati. Tuttavia, l’Italia fatica ad allinearsi a questo modello, e il divario occupazionale di genere resta un ostacolo alla piena realizzazione del potenziale economico del Paese.
Uno dei problemi più evidenti riguarda il divario retributivo. Nonostante livelli di istruzione mediamente più alti, le donne continuano a percepire stipendi inferiori rispetto agli uomini a parità di ruolo e competenze, evidenziando il cosiddetto gender pay gap. La loro presenza nei ruoli di leadership e manageriali è ancora limitata, riducendo le opportunità di crescita professionale.
Altro dato significativo è la scarsa rappresentanza femminile nei settori STEM. In Italia, solo il 16% dei laureati in discipline tecnico-scientifiche è donna. La mancanza di modelli di riferimento e il persistere di stereotipi socio-culturali contribuiscono a scoraggiare la presenza femminile in settori lavorativi cruciali per lo sviluppo della produttività, come intelligenza artificiale, innovazione tecnologica e digitalizzazione.
La bassa partecipazione femminile al mondo del lavoro è influenzata anche dalla difficoltà di conciliare vita privata e carriera. A causa di pregiudizi e bias, più o meno inconsci, il carico familiare continua a ricadere in gran parte sulle donne, penalizzandole professionalmente. Un ruolo determinante è giocato non solo da un ambiente culturale che ostacola l’emancipazione femminile, ma anche dalla carenza di servizi per l’infanzia e di assistenza alle famiglie, oltre che dalla scarsa flessibilità degli orari lavorativi, tutti fattori che limitano ulteriormente le opportunità per le donne.
La parità di genere non è solo una questione di equità, ma un elemento strategico per la crescita economica. Studi dimostrano che le aziende con maggiore diversità di genere ottengono migliori performance finanziarie e una maggiore capacità di innovazione.
Secondo l’OCSE, se il tasso di occupazione femminile in Italia raggiungesse la media europea, il PIL nazionale potrebbe crescere fino al 12%. Questo significa che migliorare l’accesso delle donne al mercato del lavoro non è solo una questione di diritti, ma una leva economica fondamentale per il benessere collettivo.
L'Agenda 2030 delle Nazioni Unite prevede obiettivi chiari per ridurre il gap occupazionale, ma l'Italia è in forte ritardo. Senza interventi concreti, sarà difficile raggiungere l’obiettivo di dimezzare il divario di genere entro il 2030.
Per ridurre il divario di occupazione femminile e rendere il mercato del lavoro più competitivo, è necessario un intervento strutturale. Le azioni più urgenti includono:
incentivare il lavoro femminile, con sgravi fiscali per le aziende che promuovono la parità di carriera;
investire nelle discipline STEM, attraverso borse di studio e programmi di orientamento per le giovani studentesse;
migliorare le politiche di welfare aziendale, aumentando l’accesso al congedo di paternità e incentivando smart working e lavoro da remoto;
garantire maggiore trasparenza salariale, introducendo obblighi di rendicontazione delle retribuzioni;
favorire l’accesso ai ruoli di leadership, con programmi di mentoring e misure per ridurre il “soffitto di cristallo”.
Questi interventi avrebbero un impatto positivo non solo sulla condizione femminile, ma sull’intera economia del Paese.
Il divario di genere nell’occupazione non è solo un problema sociale, ma un limite alla crescita economica dell’Italia. I paesi con un più alto tasso di occupazione femminile mostrano una maggiore stabilità economica e una migliore qualità della vita per tutti.
Affrontare questa sfida con politiche mirate e un impegno condiviso tra istituzioni e imprese è un’opportunità che l’Italia non può permettersi di ignorare. Un mercato del lavoro più equo e inclusivo significa maggiore competitività, innovazione e crescita per tutti.