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Una panoramica dettagliata dei quattro nuovi referendum sul lavoro

Agenzia per il lavoro, Idee per il futuro

Quattro nuovi referendum sul lavoro: conoscerli per decidere

31 mag 2024

Quattro referendum sul lavoro proposti dalla CGIL per abrogare alcune norme del Jobs Act e riformare il mercato del lavoro in Italia. Conosciamoli per una scelta informata.

Secondo l’articolo 75 della Costituzione, 500.000 elettori possono promuovere un referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge. Lo scorso 25 aprile 2024, la CGIL ha lanciato un'iniziativa di raccolta firme per promuovere la presentazione di quattro quesiti referendari per abrogare alcune parti della disciplina del mercato del lavoro, in particolare alcune norme del cosiddetto Jobs Act, il pacchetto di misure di riforma approvato in più provvedimento dal Governo Renzi tra il 2014 e il 2016.

Vediamo di cosa trattano i quesiti proposti, provando ad avere un approccio solo descrittivo.

Il primo quesito riguarda le norme sui licenziamenti illegittimi. Il proponente vuole abrogare le norme sui cosiddetti “contratti a tutele crescenti”, che consentono (in deroga rispetto alla disciplina ordinaria dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori) alle imprese di non reintegrare nel posto di lavoro un lavoratore licenziato in modo considerato illegittimo da un giudice. Su questo tema è utile sottolineare che l’Articolo 18, per come è oggi in vigore, non garantisce comunque il diritto generalizzato alla reintegra. Nel 2012, infatti, la cosiddetta “riforma Fornero” aveva iniziato a escludere la possibilità di essere riammessi in azienda per i casi meno gravi di licenziamento illegittimo. Inoltre, l’Articolo 18 si applica soltanto ai dipendenti delle aziende di medio-grandi dimensioni (con più di 15 dipendenti) mentre i lavoratori delle piccole imprese continuerebbero a essere tutelati soltanto con un indennizzo. Da un altro punto di vista, è bene ricordare che la stessa disciplina dei contratti a tutela crescenti del Jobs Act ha subito negli anni modifiche volte ad aumentare le tutele dei dipendenti assunti. Adesso un dipendente assunto con il “Jobs Act” e licenziato ingiustamente può ricevere fino a 36 mensilità di indennizzo. Una cifra che non sostituisce la reintegra nel posto di lavoro, ma che può consentire di ottenere un adeguato ristoro che molti lavoratori finiscono per preferire all’ipotesi di reintegra in un posto di lavoro lasciato in modo non pacifico e concordato.

Il secondo quesito riguarda i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici nelle imprese con meno di 15 dipendenti. Attualmente, nel caso in cui in una piccola azienda si verifichi un licenziamento illegittimo, è previsto il reintegro o l’indennizzo. Il sindacato propone di definire il valore dell’indennizzo in maniera libera e discrezionale da parte del giudice, senza prevedere, invece, un tetto massimo di sei mensilità. Tale sistema, secondo il proponente, permetterebbe di limitare i licenziamenti illegittimi e funzionerebbe, appunto, come deterrente. A detta degli oppositori alla proposta referendaria, si creerebbe invece una forte incertezza per le imprese rispetto ai costi di un eventuale licenziamento da disincentivare all’origine l’assunzione di lavoratori.

Il terzo quesito riguarda l’obbligo di introdurre per qualsiasi contratto a termine la c.d. causale, ovvero le ragioni per cui si usa il contratto. Un obbligo che non esiste più dal 2012 (con la riforma Fornero. Oggi, il contratto a tempo determinato è ancora molto utilizzato nel nostro paese, nonostante un forte calo in questi anni. È chiaro che l’approvazione di questo quesito potrebbe restringere ulteriormente l’applicazione del contratto a termine. I contrari all’abrogazione considerano l’esito dell’eventuale abrogazione referendaria un inutile aggravio per le imprese e un irrigidimento del mercato del lavoro, mentre i fautori dell’abrogazione enfatizzano l’importanza di contrastare le forme di precariato del lavoro.

Infine, il quarto quesito riguarda le norme sulla responsabilità delle aziende appaltanti. Attualmente, la normativa stabilisce che i committenti non sono responsabili per gli incidenti sul lavoro, quando le attività vengono delegate a imprese subappaltatrici. Questo quesito permetterebbe di responsabilizzare i committenti, che verrebbero così chiamati a rispondere al giusto risarcimento, in caso di incapacità dell'appaltatore o del subappaltatore.

Come immaginabile, questi quesiti referendari stanno diventando terreno di confronto e di scontro politico tra il sindacato. Purtroppo, la regolamentazione del mercato del lavoro diventa spesso tema di comunicazione e slogan, anziché di reale confronto e dibattito sulla situazione lavorativa in Italia e su come migliorarla costantemente e modernizzarla. Tante sono le sfide per il futuro del lavoro: necessità di politiche attive del lavoro che mirino alla formazione e riqualificazione professionale, ma ancora, sostegno all'occupazione stabile e di qualità, per garantire realmente una crescita giusta sostenibile, e aumento della produttività e dei salari, stagnanti da troppo tempo.

Sarà nostra cura, nei prossimi mesi, offrire contributi, dati ed elementi che possano arricchire il dibattito e una scelta referendaria informata.

Scritto da

Piergiorgio Musci
Piergiorgio Musci

Laureato in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Bari, trasferito a Roma per conseguire un Master in Relazioni Istituzionali, Lobby e Comunicazione d’Impresa all’Università Luiss "Guido Carli" di Roma. 

Ho lavorato a Napoli e Roma, con un’esperienza presso il Senato della Repubblica e in contesti lavorativi no-profit. Attualmente mi occupo di Report e Comunicazione Istituzionale in Enzima12.

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