A proposito di riforme costituzionali, di cui si è ripreso a parlare in queste settimane dopo l’avvio del progetto di riforma della forma di governo, una questione assai rilevante che meriterebbe una profonda revisione nella Carta è quella della tutela del lavoro.
Oggi si tratta di una competenza concorrente Stato/Regioni, frutto di una scelta compiuta dalla controversa riforma costituzionale del 2001 che cambiò il Titolo V della seconda parte della Costituzione.
La necessità di una revisione è comprovata dalle quotidiane e costanti evidenze della carenza di manodopera qualificata relativa a tutti i comparti produttivi e a tutti i livelli professionali, nonostante un tasso di disoccupazione ancora elevato, soprattutto tra i giovani, ma anche dall'esperienza degli operatori del lavoro e della formazione. Districarsi tra 20 sistemi regionali diversi è disfunzionale e inefficiente. “Occorre avere il coraggio di riconoscere che la norma dell’articolo 117 della Costituzione ha dato pessima prova e che la competenza sulle politiche per il lavoro va attribuita allo Stato”, ha scritto di recente Lucia Valente, docente di Diritto del lavoro presso La Sapienza di Roma, in un’analisi recentemente pubblicata da lavoce.info.
Le regioni hanno in effetti dimostrato di non essere in grado di difendere i cittadini che necessitano di assistenza durante le inevitabili e oggi frequenti transizioni lavorative, né di avere la dimensione istituzionale adeguata per affrontare con efficacia il grave squilibrio nazionale tra domanda e offerta di lavoro.
In questo contesto, l’annunciata abolizione dell’Anpal solleva più di un interrogativo. L’agenzia nacque in previsione di una “ricentralizzazione” delle competenze in materia di lavoro, poi non avvenuta a causa della bocciatura della riforma Renzi-Boschi del 2016. L’Anpal non ha mai avuto le energie, la capacità e le competenze di legge di coordinare le attività regionali e ora il governo Meloni opta dunque per la sua cancellazione e l’assorbimento delle sue attività e strutture nel Ministero del Lavoro. Scelta comprensibile e forse inevitabile. Viene però da chiedersi: la chiusura archivierà definitivamente il tentativo di coordinare le varie e disomogenee politiche regionali per il lavoro o ci si può aspettare che si affermi finalmente la consapevolezza di quanto sia opportuno rivedere il Titolo V?
Il rischio che vediamo è che l’attuale frammentazione regionale della governance in materia di lavoro e di politiche attive si accentui ulteriormente se, come sembra, insieme al premierato proseguirà anche l’iter dell’autonomia differenziata. Il pericolo che si ampli il divario tra regioni più virtuose e regioni meno efficienti è molto concreto, anche e soprattutto in materia di lavoro.
Un discorso simile può essere fatto per una materia che è invece affidata in via esclusiva alle Regioni: la formazione professionale. La frammentazione delle politiche formative sul base regionale disorienta le aziende, complica il quadro normativo e riduce l'efficacia degli investimenti privati e pubblici. Il mercato del lavoro ha oggi una dimensione nazionale, quando non europea, e un ambito cruciale come quelle della formazione non può più restare costituzionalmente confinato in una dimensione regionale.
Urge un cambio di rotta, a nostro parere.