Mentre circolano bozze, comunicati stampa e prime notizie sulla legge di bilancio per il 2024, emerge un primo significativo e preoccupante elemento: il governo non pare al momento voler destinare risorse al comparto della formazione professionale.Non c’è la conferma della norma della legge di bilancio 2022 che ha rimborsato per il biennio 2022-2023 i fondi paritetici interprofessionali per i percorsi di formazione dei lavoratori in cassa integrazione, non c’è alcun intervento di snellimento ed efficientamento della disciplina di settore, nulla è destinato a incentivare le imprese a investire nella formazione dei propri lavoratori.
In epoca di vacche magre (anzi, deperite) per la finanza pubblica, era forse inevitabile che la legge di bilancio fosse scarna e centrata su poche misure considerate elettoralmente più urgenti. Eppure ormai quotidianamente il mondo delle imprese italiano segnala alle istituzioni l'emergenza storica che sta affrontando: la carenza strutturale di lavoratori, di profili professionali adeguati alle esigenze di competitività e produttività del nostro sistema industriale e produttivo.
Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è ormai diventato endemico e sta raggiungendo proporzioni preoccupanti. Secondo i dati dell’ultimo Bollettino mensile del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal, oltre il 50 per cento delle aziende fatica a trovare i profili professionali di cui hanno bisogno.
A ottobre 2023, le assunzioni programmate sono state 471.940, con una diminuzione del 1,2 per cento rispetto all'anno precedente. Le imprese, specialmente di medie e piccole dimensioni, si aspettano una contrazione ulteriore delle assunzioni nei prossimi trimestri. Il calo delle assunzioni è particolarmente evidente nel settore dei servizi, con una diminuzione del 2,5 per cento, e nei servizi alle persone, dove si registra addirittura un -12,5 per cento.
Tuttavia, il sistema di welfare-to-work non sembra attrezzato a fare fronte al problema, come purtroppo dimostra la bassa spesa in politiche attive del lavoro. Il Belpaese si trova tra gli ultimi in Europa per la spesa destinata a queste politiche, con appena lo 0,22 per cento del Pil, a fronte di una media europea che si attesta all'0,61 per cento, quasi tre volte tanto. Un raffronto con gli altri paesi europei circa la spesa destinata alle politiche del lavoro mostra uno scarto notevole a vantaggio delle politiche “passive”: il 2,6 del Pil in Italia contro una media europea del 2 per cento; mentre per le politiche “attive” si spende in Italia lo 0,22 per cento del Pil contro una media europea dello 0,61 per cento.
Questo significa che investiamo solo un terzo di quanto investano altri paesi europei come la Spagna, che destina oltre l’1 per cento del suo Pil a queste misure. Dal 2008 al 2020 (dati InApp), l'Italia ha peraltro registrato un saldo negativo del -39 per cento negli investimenti in politiche attive del lavoro.
Altri dati, relativi alle competenze dei lavoratori, rendono il quadro ancora più fosco: sei italiani su 10 non hanno competenze digitali di base; otto su 10 di età compresa tra i 55 e i 64 anni non hanno un titolo di laurea; quattro aziende su 10 non trovano personale da assumere, quota che sale a 7 su 10 tra le aziende di tecnologia.
Questi dati dimostrano un disallineamento crescente tra ciò di cui le imprese hanno bisogno e ciò che il mercato del lavoro italiano è in grado di offrire. C'è sicuramente alla base un problema profondo nel sistema dell'istruzione italiano (ne parleremo in prossimi articoli), ma senza dubbio l'insufficienza della spesa in politiche attive del lavoro e la ridotta attenzione dedicata alla formazione continua dei lavoratori contribuisce a minare la nostra capacità di preparare le persone alle esigenze del mercato e di facilitare l'incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Per risolvere questo problema, l'Italia deve invertire radicalmente la rotta. È fondamentale migliorare l'efficienza ed efficacia dei servizi per il lavoro (con ogni probabilità, anche rivedendo il riparto costituzionale di competenze tra Stato e Regioni) e garantire che i lavoratori abbiano accesso a programmi di formazione e riqualificazione adeguati e costanti.
Purtroppo, da questo punto di vista, la nuova legge di bilancio per il 2024 rischia di essere un’occasione persa. I vincoli di bilancio sono stringenti, nessuno può negarlo, ma è evidente che il sistema del lavoro italiano si trova oggi in condizioni tanto critiche da dover essere considerato una priorità.