Nel periodo che va da oggi fino al 2030, più di mezzo milione di “baby boomers”- cioè lavoratori nati negli anni del boom di nascite di fine anni Cinquanta e inizio anni Sessanta - lasceranno annualmente il loro lavoro.
In media, per queste 500mila unità che lasciano, circa 400mila nuovi lavoratori entreranno nel mondo del lavoro, determinando quindi un vuoto occupazionale di oltre 100mila persone all’anno.
Alla base di questa dinamica c’è chiaramente l’invecchiamento della popolazione e il declino demografico, ormai fotografato in modo sempre più crudo dai rapporti ISTAT. Se prendiamo solo la fascia di età compresa tra i 15 e i 64 anni, che rappresenta statisticamente la popolazione in età lavorativa, abbiamo perso 1,8 milioni di persone dal 2012, nonostante l'apporto dell'immigrazione. Ora che i baby-boomers, nati negli anni Cinquanta e Sessanta, stanno uscendo dal mercato del lavoro, il bilancio tra nuovi ingressi e uscite rischia di diventare ulteriormente negativo. L’Italia si sta rimpicciolendo.
Questo scenario ci pone di fronte a un’esperienza inedita: non mancano posti di lavoro, mancano lavoratori. Secondo quanto emerge da un'analisi realizzata da Prometeia, primaria società di consulenza e analisi economica, trovare manodopera sta diventando sempre più difficile per le aziende, soprattutto quando si tratta di personale specializzato. Secondo il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere con Anpal, a settembre le imprese stavano cercando 531.000 lavoratori in più rispetto all'anno precedente. Le assunzioni previste tra settembre e novembre superano di poco 1,4 milioni, in aumento dell'1,9 percento rispetto allo stesso periodo del 2022.
Tuttavia, la difficoltà di reperimento coinvolge il 48% delle assunzioni programmate delle imprese, in aumento di 5 punti percentuali rispetto a dodici mesi fa. Molte figure tecniche e operai specializzati sono particolarmente richiesti, con percentuali di difficoltà di reperimento che superano il 60%. Le imprese dichiarano difficoltà di reperimento per oltre 252.000 assunzioni a settembre, confermando come causa prevalente la "mancanza di candidati" con una quota del 31,7%, mentre la "preparazione inadeguata" si attesta al 12%. Mancano operai specializzati (il 64,2% è difficile da reperire), i conduttori di impianti fissi e mobili (53,2%) e le professioni tecniche (49,5%). Secondo il rapporto di Unioncamere, le figure più difficili da trovare sono gli attrezzisti, operai e artigiani del trattamento del legno (74,1%, con un picco dell'87,7% nel Nord Ovest), gli operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni (73,6%), i meccanici artigianali, montatori, riparatori, manutentori di macchine fisse e mobili (73,1%) e i fabbri ferrai costruttori di utensili (72%). Anche i tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi, i tecnici in campo ingegneristico, i tecnici della salute e i tecnici della distribuzione commerciale sono difficili da trovare.
L’equilibrio del sistema è inoltre minacciato dal livello di educazione e formazione dei lavoratori attualmente in opera. Emerge uno squilibrio significativo nelle persone con scarse qualifiche: molte di esse si concentrano proprio nelle fasce d'età più adulte. I giovani hanno magari livelli di istruzione più alti, anche se ancora in numero limitato rispetto al resto d'Europa, ma hanno come i più adulti un deficit preoccupante di competenze tecniche, tecnologiche e professionali adeguate alla rivoluzione tecnologica determinata dall’intelligenza artificiale, dalle biotecnologie e nanotecnologie e dalla competizione globale dei talenti e delle competenze.
La sfida della formazione dei lavoratori e in generale delle persone diventa oggi più che mai una necessità esistenziale per l’Italia e per le sue imprese. In un Paese con un tasso di occupazione ancora basso, poco superiore al 60% nella fascia di popolazione attiva e inferiore al 50% tra le donne, ci sarebbe in realtà un enorme “esercito di riserva” cui attingere, un giacimento inespresso che potrebbe compensare il calo demografico, se appunto si sapesse come investire efficacemente in formazione, scegliendo gli incentivi pubblici giusti e le regole più adeguate e consolidando tra le imprese e i lavoratori la cultura della formazione continua.